venerdì 20 novembre 2015

Una giornata controversa

Finalmente Auckland. E già non vedo l'ora di andarmene. Sono qua da tre giorni e, per dire la verità, l'ho trovata meglio di come mi era stata presentata. Ovvero come la classica grande città, caotica, troppe auto, troppa gente...

Sarà che il mio concetto di grande città è cambiato da quando ho visto Bangkok. Sarà che avendo un pregiudizio negativo per sentito dire, poteva solo essere meglio. Sarà che dopo dodici giorni in Thailandia cominciavo a sentire voglia di occidente. Ad ogni modo, non mi è sembrata così male. Decisamente vivibile, bei locali, ci si muove bene a piedi e non si respira una quantità esagerata di gas di scarico.

La caratteristica che mi ha colpito di piu, in modo positivo, é la grande mescolanza di persone di diverse culture e nazionalità. Qui si è immersi nel cosiddetto "melting pot". E tanti saluti a chi dice che ognuno deve stare nel proprio paese.

Oggi è stata una giornata controversa. Mi sono svegliato bene, le poche ore di sonno me le sono godute in un bel letto e con la consapevolezza di svegliarmi in un bel posto (haka lodge backpacker), con belle persone. Una volta fatto il check-out, sono rimasto a godere della loro compagnia e un ragazzo francese mi ha proposto di prendere parte al suo progetto (non proprio suo in realtà, gli è stato lasciato in eredità da un altro viaggiatore che si è dovuto fermare per un po'). Questo consisteva semplicemente nel rispondere ad una domanda: "Chi ti manca di più? E perché?". Non ci ho messo molto a rispondere, ma c'era una seconda parte: dovevo fare io una domanda per il prossimo partecipante. É stata una decisione lunga e sofferta, ma ce l'ho fatta.

In seguito mi sono caricato gli zaini sulle spalle e ho raggiunto il backpacker che mi ospiterà per il weekend. " Shitty place" è stata l'unica cosa che mi è venuta in mente a riguardo. Dopo un paio di disavventure con le chiavi che non aprivano la stanza e il marsupio con il passaporto che tra un po' resta in bagno a disposizione del primo che fosse passato, ho lasciato l'ostello con la consapevolezza che sarebbe stato un lungo weekend.

"È una giornata grigia, nuvolosa, ogni tanto piove e sono lontano dalla zona dove ho lasciato le poche persone che ho conosciuto in questi giorni, che cazzo faccio?"

Sono partito girovagando a caso e sono arrivato al porto. "Ho bisogno di mare". Ho dovuto cercare su gmaps un posto da dove vedere il mare. " Trenta minuti a piedi. Vabbè, tanto non ho un cazzo da fare." Dal porto, che uno pensa dovrebbe essere sul mare, per poterne vedere uno spiraglio bisogna spostarsi tipo di 2,5 km, prima si vedono solo magazzini e container e muletti. Di male in peggio. Poi la svolta. Saluto un signore che veniva dalla parte opposta e lui mi racconta dell'antica ringhiera rossa e delle sue probabili origini italiane, che aveva la pelle del colore della mia prima di ammalarsi di leucemia, che gli chiedevano se fosse italiano, spagnolo o maori e Bertolucci e Zeffirelli e Sofia Loren e i piccoli borghi sulle colline italiane e il rinascimento e Da Vinci e Michelangelo e sua madre Florence, artista e ka kite ano(a) (see you later in maori). E sentire in lui la felicità di potersi raccontare a qualcuno, qualcuno venuto da lontano.

Ho continuato la passeggiata con un umore decisamente diverso e sono arrivato al mare e mi sono seduto e mi sono fumato una sigaretta. E mi sono messo a scrivere.

Qui il mare è poco. É tutto chiuso, una sorta di baia con quella che dovrebbe essere Waiheke island a coprire l'orizzonte ma, almeno per oggi, fa il suo lavoro. Mi rasserena, mi mette di buon umore e mi ispira nella scrittura. Non vedo l'ora di essere davanti all'Oceano.

Butto qualche foto sparsa di Auckland, già che ci sono.

lunedì 16 novembre 2015

Leaving Pai, leaving Thailand

Nota: se non avete ancora letto il post precedente, "Prime impressioni", fatelo prima di leggere questo, please.

Il viaggio è anche tristezza. La tristezza di salutare, forse per sempre, persone speciali con le quali hai condiviso solo tre giorni, ma tra i più belli della tua vita.

Tra questi, il giorno perfetto:
-sveglia con calma;
-colazione abbondante;
-noleggio scooter e partenza;
-tappa alle cascate (bagno, cadere nel fango, scivoli naturali);
-tappa villaggio cinese + pranzo;
-tappa canyon quasi al tramonto;
-tappa grande Buddha bianco al tramonto;
-doccia + serata tranquilla in giro per pai.

In mezzo, la sensazione di libertà assoluta donata dal girare in motorino per i colli thailandesi.

Potrei scriverci un libro se mi mettessi a descrivere con cura tutti i bei momenti della giornata, e le vibrazioni positive, e la sensazione di vivere per davvero in tutte le sue sfumature.

Mi limiterò a ringraziare le persone che l'hanno condivisa con me, perché alla fine la vera differenza la fa la compagnia.

Quindi prima di tutto ringrazio Clara e Núria, e poi Fermin, Digna ed Eva. E Pascal e Turjan, visti in serata. E Dave che ha offerto un giro di birre per ringraziarci di averlo riportato all'ostello la sera precedente (non si reggeva in piedi e quell'angelo di Clara non ci avrebbe mai permesso di lasciarlo in quelle condizioni in giro per locali). Grazie.

In questo momento è facile avere gli occhi lucidi. Il difficile è fare tesoro di questi momenti tenendo a bada la tentazione di tornare indietro a riviverli, e guardare avanti, alla prossima tappa.

Auckland sto arrivando.

PS: mi sembra di scrivere sempre troppo poco, di non riuscire a far cogliere appieno al lettore l'intensità delle emozioni che ho provato in questa dozzina di giorni in Thailandia...ma non è che posso sempre star qui a scrivere!

Prime impressioni

Dopo due giorni nella jungla con dieci persone che mi erano estranee fino ad un momento prima della partenza, comincio ad avere qualche indizio su cosa sia il viaggio. È risate, è abbracci, è addii. É promesse.

Come quella di rivedersi in un villaggio vicino. Come quella di visitare il Belgio, o Parigi. My home is your home. Dopo due giorni nella jungla insieme, we're family.

É ascoltare le urla delle ragazze gallesi della porta accanto quando vorresti dormire e sorridere, e invidiare quell'accento british.

É preoccuparsi quando qualcuno scompare nella notte e sono 20 minuti che non hai sue notizie. E alla fine la vedi ritornare con una busta piena di birre!

É stringere relazioni meravigliose, con persone che riesci a malapena a comprendere, in un battito di ciglia.

É non trovare le parole per stare vicino ai ragazzi francesi in questo momento buio.

Nota: la data originale di questo scritto è 12 novembre 2015, ho fatto un po' fatica a trovare il tempo di trascriverlo.

martedì 3 novembre 2015

Piccole cose




Sono sempre stato un fanatico dei piccoli piaceri della vita: l'euforia dopo un buon pasto innaffiato con del buon vino; la sigaretta dopo il caffè, consumata passeggiando in un soleggiato pomeriggio d'autunno; l'ex datore di lavoro che ti saluta per strada; le risate intorno ad un tavolo coperto da bottiglie di birra vuote; un messaggio che ti scalda il cuore da parte di una persona cara che non sentivi da tempo.

Nei giorni prima di volare via si apprezzano ancora di più. E sono certo che dopo questo viaggio avranno ancora più valore.

Sono in partenza. Prima tappa Bangkok e il nord della Thailandia, poi via verso la Nuova Zelanda, dove conto di restare alcuni mesi. Come compagno di viaggio uno zaino non ancora pronto.



Sono certo che ci saranno momenti stupendi e altri difficili. Questi ultimi mi spaventano un po', ma mi sono preparato bene: da qualche giorno a questa parte ho collezionato decine di abbracci. Abbracci amichevoli, abbracci preoccupati, abbracci intrisi di sana invidia. E abbracci così intensi da bagnare gli occhi. Ognuno di essi è e sarà importante per me. Quindi un grosso ringraziamento va a tutti coloro che hanno trovato il tempo di passare a stringermi in un abbraccio.

"A voi mancherò solo io, ma a me mancherete tutti voi."

Siamo sotto lo stesso cielo..

Mevar


martedì 26 novembre 2013

PLE

Cosa? PLE. Personal Learning Environment. Ambiente personale di apprendimento, per noi comuni mortali. Il professore dell'insegnamento di Informatica per l'Educazione ci ha presentato questo acronimo, ma non si è voluto spingere oltre, lasciandoci l'opportunità e la responsabilità di cercarne il significato per conto nostro. Wikipedia ci viene in aiuto.

Scopriamo quindi che, secondo Stephen Downes, il PLE è "...un nodo in una rete di contenuti, connesso ad altri nodi ed a servizi di creazione di contenuti usati da altri studenti. Diventa un'applicazione non istituzionale o aziendale, ma un centro di apprendimento personalizzato, dove i contenuti vengono riutilizzati e integrati a seconda dei bisogni e degli interessi dello studente stesso. Diventa quindi, non una singola applicazione, ma una collezione di applicazioni interoperanti - un ambiente piuttosto che un sistema."

E' bene anche sottolineare che la definizione di PLE nasce all'interno del "web 2.0", che rappresenta l'evoluzione della rete. Internet oggi non è più quella in cui navigavamo anni fa, in cui gli utenti potevano solo assorbire passivamente contenuti. Ora questi vengono creati dagli utenti stessi tramite blog, social network, piattaforme di condivisione documenti, cloud. L'utente può dare un contributo attivo alla rete.

Quindi, in breve, il PLE è quell'ambiente che aiuta lo studente a controllare e gestire il proprio apprendimento, tramite l'acquisizione di nuovi contenuti, il confronto tra di essi e la condivisione della propria rielaborazione.

Dividendo i miei apprendimenti in formali e informali, il mio PLE risulta essere qualcosa di questo tipo:

Apprendimenti formali: Alma Mater Studiorum, libri di testo, Wikipedia, Kiklos, Il Millepiedi, Moodle, Blogger, OpenOffice, Internet Explorer, MoZilla FireFox.

Apprendimenti informali: per questi potrei continuare a scrivere per ore e non finire la lista, diciamo che mi piace leggere libri e fumetti, suonare basso elettrico e chitarra, uscire con gli amici e discutere con loro davanti ad una buona birra, usare social network (facebook e twitter) e seguire vari blog e riviste online, guardare serie tv, cortometraggi e lungometraggi.

E voi come imparate?



Spugna sintetica

lunedì 25 novembre 2013

Errore 02: non mettersi in gioco

Ecco un cortometraggio davvero carino del regista Danny Sangra (http://www.dannysangra.com/), ringrazio l'Oltreuomo per la segnalazione. E' in lingua inglese ma è sottotitolato, quindi dovrebbe essere comprensibile ai più, buona visione!



A Lunch Break Romance from Danny Sangra on Vimeo.

Ora, qual è il succo? Il soundtrack spacca! Ok, no, non è quello (anche se è vero!)...che se il ragazzo fosse stato italiano questo corto sarebbe finito con i ragazzi che facevano sesso nei cespugli? No, neanche questo, anche se è interessante il fatto che il ragazzo esprima questo stereotipo. Credo che lo faccia un po' per discolparsi, visto che non prova neanche a intavolare una conversazione con una ragazza molto carina che gli sta accanto, nonostante abbia notato quello che "la gente dice che sia un segno di attrazione" (lei accavalla le gambe verso di lui, anche se noi sappiamo che lo fa per non far notare la macchia di zuppa), uccide il senso di colpa biasimando il suo non essere italiano. Se solo sapesse quante volte capitano a noi italiani queste situazioni!!

Quante volte evitiamo di aprire bocca, di incrociare sguardi, a volte anche di mandare messaggi? E per quale motivo? La paura di fare la figura del cretino, dello stalker, di non avere niente di intelligente da dire...la paura di mettersi in gioco.

Già, evitare il contatto è più comodo, altrimenti ci sono delle possibilità ma anche dei rischi. Meglio rimanere all'interno della propria zona di comfort. Se ne era già parlato nel post sul "rimandare", la zona di comfort è quello spazio di manovra costituito da percorsi che conosciamo bene, all'interno del quale i rischi sono ridotti al minimo. Come le possibilità.


Come si può notare nel grafico soprastante (graficone!), la magia che pervade questo mondo avviene al di fuori della zona confortevole. Bisogna farsi il favore di uscirne e mettersi in gioco per trovarla. Naturalmente non limitiamo questo discorso alle relazioni amorose con belle ragazze che mangiano zuppa senza glutine, estendiamolo allo studio (quante domande da fare al prof. di turno vi siete tenuti dentro per evitare gli sguardi dei colleghi?), al lavoro, alla vita di tutti i giorni.

Io sono sempre stato piuttosto legato alla mia zona di comfort, ma è da un po' che ogni tanto faccio un giro fuori e devo dire che non è per niente male! Ci vediamo "dove accade la magia".




giovedì 21 novembre 2013

Errore 01: rimandare

E' ora di tenere fede alla promessa fatta nel post iniziale (Un'inizio) e scrivere qualcuno dei miei errori. Ho scelto quello che reputo essere il più frequente e anche il più difficile da non ripetere: rimandare.

Promemoria 


E' da una settimana che mi gira in testa l'idea di scrivere questo post ma ho rimandato e rimandato ancora. Non che avessi cose più importanti da fare. A meno che non riteniate finire Sleeping Dogs una cosa più importante. O stare come un'ebete a fissare il pc leggendo roba scritta da altri, con una faccia tipo quelle fotografate da Julian Mauve (si ringrazia L'Oltreuomo per l'articolo).

Rimandare è il modo più semplice per perdere tempo inutilmente. A forza di rimandare esami sono giunto al mio settimo anno di università. C'è da dire che ho perso tempo soprattutto nei primi quattro anni, spesi a dare metà degli esami della triennale di Scienze Motorie, ma a Scienze della Formazione ho avuto vita più facile visto che mi sono stati passati un po' di crediti dall'università precedente. E ancora non sono esattamente in pari. Imperterrito. "Potresti avere due lauree a quest'ora" dice Madre, a ragione. Il mio Demone dell'Inadempienza è grande il doppio rispetto a quello di ZeroCalcare (Il demone dell'Inadempienza).

Si perchè i sensi di colpa sono tanti e pesano, ma in qualche modo li si zittisce sempre piuttosto facilmente in nome del divertimento o, più spesso, del meno sbattimento. Andrea di EfficaceMente individua quattro motivi che ci invitano a rimandare, qui. Io amo la mia zona di comfort!

E' un po' come lasciare le calde coperte in una gelida mattinata invernale e, effettivamente, il periodo autunno-inverno è per me il periodo più propizio a rimandare. Come uscirne?

Probabilmente ci sarebbe da fare tutto un lavoro sulla motivazione, la visualizzazione degli obiettivi, le tappe intermedie,ecc...però che sbatti!!!  

Sono bene accetti suggerimenti meno faticosi, intanto mi leggo come studiare quando non si ha voglia!!